Environmental Refugees

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Non esiste una definizione chiara per la categoria di persone chiamate “Rifugiati ambientali” e tale categoria non è coperta dalla Convenzione sui rifugiati del 1951, la quale si riferisce solo alle persone che hanno un fondato timore di essere perseguitate a causa della loro razza, religione, nazionalità e appartenenza ad un particolare gruppo sociale o opinione politica e non sono in grado o non vogliono cercare protezione dai loro paesi d’origine. In realtà la migrazione ambientale è come un dispositivo inesploso: in un futuro non troppo lontano l’intero pianeta dovrà affrontare il peso economico e sociale delle sue conseguenze. Entro il 2050, una persona su 45 sarà un migrante ambientale – 200/250 milioni di persone in totale: oggi sono già decine di milioni (fonte, OIM e ONU). Il novanta per cento di questi 200/250 milioni di migranti, vive in paesi in via di sviluppo. Composto da 5 accampamenti e con una popolazione di oltre 420.000 rifugiati, Dadaab, situato nel nord del Kenya, a pochi chilometri dal confine con la Somalia, è il più grande campo profughi del mondo. Tre quarti della sua popolazione sono bambini sotto i 12 anni, donne e anziani. Tuttavia, l’arrivo a Dadaab non è una garanzia di sopravvivenza, soprattutto per i bambini che sono malnutriti, malsani e vulnerabili. Il campo è stato originariamente aperto come temporaneo nel 1992 ed è tuttora una casa per persone in fuga da carestie, siccità e guerre.  Migliaia di somali si stanno dirigendo verso il campo profughi di Dadaab. La speranza è sepolta lì, nel disfacimento delle baracche tenute insieme dalla disperazione di coloro che cercano di sfuggire alla carestia che ha colpito milioni di persone nel Corno d’Africa. (testo a cura di Luca Catalano Gonzaga).

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