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Il Mekong: il fiume più lungo del Sudest asiatico, fonte di sostentamento per 60 milioni di persone. Fornisce pesce e acqua alla popolazione che vive entro il suo bacino idrografico, ed è il pilastro su cui si fonda lo sviluppo economico della regione. Si snoda per 4.800 km attraversando ecosistemi unici e ricchissimi di biodiversità, in sei paesi diversi. I primi di novembre 2019 la centrale idroelettrica di Xayaburi, nel nord del Laos, è entrata in funzione: costata diversi miliardi di dollari e costruita nell’arco di nove anni, è stata finanziata in buona parte dalla Thailandia. Sfrutta l’acqua del fiume Mekong, con la sua potenza di 1,3 gigawatt, produrrà energia elettrica che sarà acquistata al 96 per cento dalla Electricity Generating Authority of Thailand. Non appena è entrata in funzione, la diga della centrale di Xayaburi ha fatto abbassare di un metro e mezzo i livelli del Mekong, portandoli ai livelli minimi da un secolo, ma il Laos progetta di costruire nei prossimi anni circa 140 dighe, sul Mekong e sui suoi affluenti, per metà finanziate dalla Cina, con l’ambizione di diventare “la batteria dell’Asia”. Esperti, ambientalisti e rappresentanti delle comunità locali avvertono da anni che lo sfruttamento del Mekong sta provocando e provocherà enormi danni alle decine di milioni di pescatori che vivono nel bacino del fiume, e che per millenni hanno basato la propria sopravvivenza su risorse ittiche, il cui futuro sembra ora più che mai a rischio. Dalla Cina al Vietnam, le dighe idroelettriche stanno iniziando a disturbare il flusso naturale del Mekong e dei suoi affluenti, trattenendo e rilasciando acqua per guidare enormi turbine. In nessun luogo questo è più pronunciato che nello stato comunista del Laos, dove 46 dighe operano lungo i fiumi e i flussi che si alimentano nel Mekong, con una capacità di generazione di energia combinata di circa 6.500 megawatt. Nelle sue acque vengono riversati quotidianamente agenti inquinanti, con conseguenze sui pesci e i crostacei che vengono pescati a ritmi di milioni di tonnellate all’anno, ed esportati in tutto il mondo per un giro di affari stimato in 17 miliardi di dollari. Il riscaldamento globale poi mette a rischio l’esistenza dei ghiacciai tibetani dai quali nasce il Mekong, così come i cambiamenti nella regolarità e nell’intensità dei monsoni che lo alimentano lungo il suo percorso. Ma è stato soprattutto lo sfruttamento del suo enorme potenziale idroelettrico a rappresentare un problema. I problemi dello sfruttamento idroelettrico del Mekong non sono soltanto a medio o lungo termine. L’anno scorso, il crollo di una diga in Laos provocò un’alluvione che uccise decine di persone e distrusse migliaia di case: l’incidente fu provocato da un errore umano, concluse il governo del Laos, che però non individuò mai i colpevoli. Migliaia di persone nel Laos, sono state costrette a spostarsi per far posto alle centrali e agli annessi bacini d’acqua, che hanno sommerso interi villaggi abitati per secoli dalle comunità locali che vivevano lungo il fiume e che in molti casi hanno dovuto cambiare radicalmente stile di vita, non potendo più contare sull’acqua del Mekong. (Testo a cura di Luca Catalano Gonzaga).